mercoledì 24 novembre 2010

La riciclo-logia, un capitolo della Merceologia

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 23 novembre 2010.

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Propongo di chiamare riciclo-logia quel capitolo della Merceologia che si occupa della tecnologia del riciclo dei materiali usati e delle proprietà dei prodotti riciclati. Chi volesse svolgere questo corso in una Università ha oggi a disposizione un apposito trattato chiamato: “L’Italia del riciclo”, pubblicata nei mesi scorsi dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, una organizzazione presieduta da Edo Ronchi che è stato Ministro dell’ambiente nel governo Prodi (1996-1998) e che ha legato al suo nome al primo decreto moderno e organico sul trattamento dei rifiuti.

Come tale decreto ben specifica, la prima azione da fare per diminuire la massa dei rifiuti che finiscono nelle discariche e negli inceneritori consiste nel riutilizzare le materie di cui le merci, i prodotti usati e buttati via (quelli che “rifiutiamo” e per questo si chiamano “rifiuti”), sono fatti. Si tratta di far resuscitare in forma di nuovi prodotti quelli che vengono rifiutati: una impresa che dovrebbe mobilitare scienziati, chimici, ingegneri e merceologi, ma che in realtà viene attuata ben poco.

Tanto per cominciare bisognerebbe sapere di che cosa è fatto ciascun prodotto. Ad esempio, si fa presto a dire carta, ma per ricavare carta nuova dalla carta straccia bisognerebbe sapere quali inchiostri e quali additivi e quali tipi di cellulosa sono stati impiegati nella fabbricazione di ciascun pezzo di carta e cartone buttato via. Nonostante le molte carenze nelle informazioni, molte cose si possono fare per ricavare merci ancora utili dai quasi 40 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani e dai circa 150 milioni di tonnellate di rifiuti “speciali”.

Il libro citato all’inizio fornisce molte utili indicazioni proprio merceologiche spiegando la provenienza, alcuni caratteri e il risultati di alcuni processi di riciclo di vari rifiuti. Il primo capitolo riguarda la carta: nel 2008 sono stati immessi al consumo circa 11 milioni di tonnellate di carte e cartoni, circa la metà dei quali sotto forma di imballaggi: del totale la raccolta differenziata è stata di circa 6 milioni di tonnellate, ma di queste sono state avviate al riciclo circa 3 milioni di tonnellate, soprattutto di imballaggi che sono raccolti diligentemente dai supermercati e dai negozi: avrete visto che la sera accanto al cassonetto, davanti ai negozi, ci sono cartoni ben ripiegati che saranno raccolti e che sono destinati al riciclo, un processo che produce anche lui dei residui e rifiuti. Nel complesso di tutta la carta e i cartoni consumati circa il 40 percento va perduto, il che mostra quanto ancora si possa migliorare nel campo delle raccolta differenziata e del riciclo di questa frazione merceologica.

Un po’ meglio vanno le cose per il vetro; rispetto ad un consumo nazionale di vetro di circa 4,5 milioni di tonnellate nel 2009, il consumo di imballaggi è stato di circa 2 milioni di tonnellate, di cui sono stati raccolti circa 1,5 milioni di tonnellate; di questi poco più di 1,3 milioni di tonnellate vengono dalla raccolta differenziata, la quale peraltro fornisce soltanto poco più di 1,1 milioni di tonnellate di materiale veramente riutilizzato nella produzione di nuovo vetro; parte del vetro raccolto impropriamente insieme agli altri rifiuti di plastica, metalli, eccetera, va perduto. Lo studio citato indica bene quanta strada vada ancora fatta per una raccolta degli imballaggi di vetro da soli, una vera, e non finta, raccolta differenziata; solo così si possono effettivamente usare di meno materie prime (sabbia, carbonato sodico, marmo, eccetera), meno acqua ed energia.

Gli altri interessanti capitoli di questo trattato di riciclologia riguardano la materie plastiche; la gomma e i pneumatici fuori uso; il legno; l’alluminio e gli altri metalli non ferrosi; i rottami ferrosi e gli imballaggi di acciaio come le “lattine” usate per bevande e molti alimenti; i cosiddetti RAEE, cioè i rifiuti di elettrodomestici, frigoriferi, lavatrici, ma anche di apparecchiature elettroniche come computer, televisori, eccetera. In Italia nel 2009 sono stati immessi in commercio frigoriferi, condizionatori di aria e scaldabagni per un peso di 120.000 tonnellate; si può immaginare che più o meno la stessa quantità sia stata buttata via, ma i rifiuti di queste apparecchiature identificati sono stati di circa 60.000 tonnellate, il che fa pensare che una grande quantità sia finita in discariche abusive. Nello stesso anno sono state immesse in commercio 74.000 tonnellate di televisori e monitor e ne sono state raccolte per 58.000 tonnellate.

Mentre il riciclo di merci “semplici”, come carta, vetro, plastica, è relativamente facile, il recupero di materiali da merci complesse come elettrodomestici e rifiuti elettronici comporta delicati problemi anche ambientali perché talvolta contengono sostanze tossiche, molte delle quali sconosciute in quanto talvolta si tratta di apparecchi fabbricati anni fa, non si sa come. Una parte dei rifiuti elettronici, per esempio, viene esportata in Africa, India, Cina, Estremo Oriente, dove innumerevoli mani pazienti smontano (spesso senza precauzioni per la salute e l’ambiente) le apparecchiature nelle loro componenti fino a recuperare metalli preziosi nascosti in mezzo a plastica e altri materiali. Simili problemi si hanno nello smaltimento dei veicoli fuori uso (nel 2009 è stato di 1,2 milioni di tonnellate il peso di quelli destinati alla demolizione) e delle pile e accumulatori.

La legge prevede la raccolta differenziata non solo degli oli lubrificanti usati, che vengono in parte riciclati, ma anche degli oli e grassi alimentari residui dopo la frittura nelle industrie e nei locali di ristorazione; nel 2009 ne sono state raccolte 42.000 tonnellate, una quantità destinata ad aumentare. Si stima che ogni anno circa 280.000 tonnellate di grassi di frittura vengano buttati via (senza contare quelli che vengono buttati via nel settore domestico) e questa massa di grassi usati, immessi impropriamente nelle fogne, rendono più difficile il funzionamento dei depuratori delle acque, quando invece potrebbero, con opportuni trattamenti, diventare lubrificanti e anzi carburanti per motori diesel. C’è della ricchezza nei rifiuti e nelle fogne.

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