sabato 3 marzo 2012

NPK i concimi

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 27 dicembre 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

NPK, enne-pi-kappa, sono i simboli degli elementi chimici azoto, fosforo e potassio che sono presenti, in varie proporzioni, in tutti gli esseri viventi, vegetali e animali. Il comune serbatoio e unica fonte di rifornimento è il terreno da cui i vegetali li prelevano direttamente, mentre gli animali li ottengono attraverso il cibo. La vita di qualsiasi essere vivente prima o poi finisce e azoto, fosforo e potassio presenti nel suo organismo, ritornano al terreno come spoglie vegetali o animali; qui trovano una popolazione di organismi decompositori che si occupano di trasformarli, sempre più o meno rapidamente, in modo da renderli disponibili per “alimentare” altri vegetali, e poi altri animali, e così via. In un certo senso si può dire che in natura non esiste la morte ma soltanto un grande ciclo per cui ogni essere, alla fine della propria vita, alimenta un’altra vita.

Questi cicli vitali sono chiusi e sono andati avanti così per innumerevoli millenni, anche dopo la comparsa di quell’animale speciale che si chiama “uomo”. La rottura di tali cicli ecologici è cominciata una diecina di migliaia di anni fa quando alcuni nostri antenati si sono stancati di raccogliere bacche e radici alimentari e di correre dietro, nei boschi e nelle savane, agli animali da uccidere per mangiarne la carne; qualcuno di questi antenati ha scoperto che alcune piante si potevano “coltivare” e che alcuni animali da carne si potevano “addomesticare” e allevare e si è trasformato in coltivatore-allevatore dando inizio alla “storia” attuale. Col passare del tempo e con l’aumento della popolazione umana e della richiesta di cibo, una crescente frazione degli elementi nutritivi sottratti al terreno non è più tornata al terreno stesso perché le piogge disperdevano nel sottosuolo o nei mari le spoglie e gli escrementi dei viventi.

Le “leggi” che governano i cicli delle sostanze che rendono fertili i terreni, degli elementi “fertilizzanti”, erano state intuite già nelle società agricole più antiche e qualcuno si era accorto che un eccessivo sfruttamento agricolo del terreno lo impoveriva di “qualcosa”. Tanto che Dio aveva prescritto al popolo di Israele che, per un anno ogni sette anni, il terreno non doveva essere coltivato e lasciato “riposare” (è il concetto del “sabato” che si trova nel capitolo 25 del libro biblico del Levitino): così avrebbe recuperato le sostanze nutritive perdute. Ci sarebbe però voluta la rivoluzione chimica dell’Ottocento perché i chimici comprendessero meglio il meccanismo della “nutrizione vegetale” e identificassero nell’azoto, nel fosforo e nel potassio i tre elementi nutritivi essenziali del terreno.

Nel frattempo la popolazione mondiale era aumentata diecine di volte e si era visto che la quantità di elementi nutritivi sottratti al terreno era sempre molto maggiore di quella degli elementi restituiti. Per sfamare la popolazione di ciascun paese occorreva quindi apportare al terreno “artificialmente” gli stessi elementi estraendoli da minerali esistenti nel Cile, in Germania, nel Marocco, o contenuti in sostanze fabbricate per sintesi. La maggior parte di noi non vede neanche i sacchi, i treni e le navi che trasportano, attraverso i mari e i continenti, le centinaia di milioni di tonnellate di “fertilizzanti” che ogni anno alimentano la terra, anche se sono indispensabili per la produzione delle verdure, frutta e carne che troviamo al supermercato.

A chi vuole conoscere un poco della storia, dell’economia e dell’industria delle merci più indispensabili del mondo, raccomando la lettura del recente libro di Marino Perelli, “Nutrire le piante. Trattato di scienza dei fertilizzanti”, pubblicato dalla casa editrice Arvan di Mira (Venezia), 809 pagine. La stessa casa editrice pubblica anche la rivista “Fertilizzanti”. Va detto che per certe frange radicali dell’ecologia “profonda” e delle coltivazioni “biologiche” o “organiche” integrali, fertilizzanti, concimi, chimica, sono parolacce; effettivamente un uso elevato di fertilizzanti fa aumentare le rese per ettaro, e quindi i profitti dell’agricoltura intensiva, ma ha effetti ambientali negativi. Tale uso eccessivo è infatti responsabile della proliferazione delle fastidiose alghe nei mari, dell’inquinamento delle falde idriche sotterranee da cui proviene l’acqua potabile, dell’effetto serra e dei conseguenti mutamenti climatici,

Senza contare che da alcuni decenni a questa parte si sta osservando un impoverimento, in qualche caso un esaurimento dei giacimenti di concimi naturali e che l’industria dei concimi sintetici è fortemente dipendente dal petrolio e dal gas naturale. Ed è anche vero che un razionale riutilizzo del letame e dei fanghi di depurazione delle acque in cui finisce una parte degli escrementi umani potrebbe fornire elementi fertilizzanti diminuendo i consumi di quelle artificiali, ma non bisogna dimenticare che le bocche da sfamare aumentano nel mondo di un miliardo ogni tredici anni, per cui l’apporto al terreno di altro azoto, fosforo e potassio è destinato anche lui ad aumentare, ci piaccia o no.


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