venerdì 31 agosto 2012

merci sintetiche, merci naturali


Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

L’acciaieria ILVA di Taranto è sporca; la lattina di conserva di pomodoro è pulita fino a quando sta nel negozio; la lattina di pomodoro vuota è sporca. La pasta alimentare che si trova nel negozio è pulita; gli escrementi in cui va a finire dopo il pranzo sono sporchi. L’esercizio si potrebbe ripetere infinite volte perché tutta la vita umana consiste nella transizione da cose pulite offerte dalla natura, a processi tecnici sporchi, a merci pulite, a rifiuti sporchi --- che talvolta possono riscattarsi con processi tecnici sporchi che producono merci riciclate pulite, e così via.

Nel mondo della natura non esiste sporco e pulito. Esistono soltanto cicli chiusi in cui tutto è pulito e in ordine perché ha il fine unico, importante, che è la vita; nella natura non esistono rifiuti o scorie e non esiste neanche la morte, ma solo un passaggio continuo di materia e di energia che ha come fine, appunto, la propagazione della vita nelle sue innumerevoli forme.

Al lettore curioso raccomando a questo proposito la lettura di un libro, uscito nel 1971, e tradotto in italiano da Garzanti quarant’anni fa nel 1972 (una seconda edizione fu pubblicata nel 1984, entrambe ormai fuori catalogo), scritto da un biologo americano eterodosso, Barry Commoner, oggi novantacinquenne, ancora sulla breccia, e intitolato “Il cerchio da chiudere”.

Anche in natura esistono dei rifiuti e delle scorie, ma non si possono considerare “sporchi” perché i cicli, chiusi, appunto, della natura, li rielaborano in altre sostanze “pulite”. Cominciamo con il mondo vegetale. Che cosa si può immaginare di più “pulito”, secondo le scale di valori umane, delle foglie degli alberi o dell’erba del prato ? Se si scende a livello molecolare si osserva senza fatica che ogni giorno, ogni ora, la loro superficie aumenta grazie all’”acquisto”, gratis, naturalmente, secondo le scale di valori umane, di anidride carbonica dall’atmosfera, di acqua dall’atmosfera e dal suolo, di elementi minerali dal terreno; è, grazie alla fonte di energia più pulita di tutti, quella del Sole: la ben nota operazione di “fotosintesi”.

Quando è venuto il tempo, anche le foglie cessano di essere “utili” per la crescita della pianta e cadono al suolo come spoglie; la nota canzone le chiama “foglie morte”; nelle città gli spazzini si affrettano a portarle via per tenere “pulite” le strade, ma l’osservatore attento vede che quando le foglie tornano, come devono, al suolo, qui ci sono falangi di “spazzini” biologici, gli organismi decompositori, che si affrettano a scomporre le molecole delle spoglie vegetali e a trasformarle in molecole gassose, liquide, solide, ancora utili per altre piante, per altra vita.

E anche quella parte dei vegetali che viene utilizzata come cibo dagli animali --- i quali, poveretti, per la loro natura di esseri “consumatori”, come li chiamano gli ecologi, sono condannati a dipendere de altri per la loro nutrizione --- viene trasformata in rifiuti, anche loro gassosi, liquidi e solidi, che finiscono nell’aria, nelle acque e nel suolo e anche qui trovano altri “spazzini” biologici, altri organismi decompositori, che trasformano le molecole delle spoglie ancora in sostanze utili per altri vegetali in modo da “chiudere” il ciclo.

E anche quella parte degli animali, le prede, che sono condannati a diventare cibo di altri animali, i predatori, diventa a sua volta scorie e escrementi e rifiuti che ritornano in ciclo come nutrimento di altri esseri viventi. Quanta differenza con gli umani che nei loro macelli generano, in cambio di poca carne commerciale pulita, grandi quantità di rifiuti inquinanti “sporchi”.

Probabilmente una lettura più moderna del racconto contenuto nel libro della Genesi, quando Dio punisce Adamo ed Eva per il peccato di aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza, mostrerebbe che la vera punizione non è quella del dover lavorare con le proprie braccia e con dolore, ma quella di dovete trasformare con la tecnica, con l’abilità, con la “conoscenza” strappata all’albero del paradiso, le ricchezze della natura in beni utili e, insieme, inevitabilmente, in rifiuti “sporchi”. La vera punizione è il dover sottostare alla “seconda legge” della termodinamica e della materia, per cui nella tecnosfera ogni trasformazione comporta una diminuzione delle riserve di beni “puliti”, naturali, e un peggioramento della loro qualità.

La transizione dalla pulizia dei cicli biologici naturali “chiusi”, alla sporcizia delle attività umane “tecniche” risale probabilmente alla scoperta del fuoco che forniva calore e permetteva di trasformava la carne in un cibo più digeribile, imponendo, come prezzo, la sporcizia provocata da fumi neri e nocivi per la salute e la vita. E’ stato un processo accelerato continuamente, con la transizione dei nostri predecessori, ormai “umani”, dalla condizione di raccoglitori di frutta e radici e di cacciatori di animali selvatici, alla condizione “moderna”, di coltivatori e di allevatori. Migliori condizioni di vita, la formazione di una classe dominante di re e proprietari, hanno imposto la necessità di costruire edifici più grandi e sicuri portando via le pietre dalle colline e poi la necessità di spaccare le pietre e uccidere gli animali con “metalli” tratti anche loro dalle pietre mediante il calore --- e in ogni caso case e cibo e metalli più “puliti”, lasciavano, come residui, scorie “sporche”, fumi e detriti.

Un racconto che è stato fatto altre volte anche in queste “pagine” e che continua con il progresso della scienza e della tecnica, sempre più rapido fino alla rivoluzione industriale quando la tecnica ha permesso di scoprire che merci “pulite” potevano essere ottenute per sintesi, utilizzando in parte anche le stesse scorie e sottoprodotti di altre lavorazioni. Merci pulite e migliori necessarie per aumentare la disponibilità di cibo, per rendere più facile la vita.

Da una società eotecnica, come l’ha chiamata Lewis Mumford nel suo libro “Tecnica e cultura” del 1933, basata su risorse naturali rinnovabili e riciclabili, quelle vegetali e animali, il legno come materiale da costruzione e fonte di energia, l’Illuminismo, quell’ulteriore avido morso al frutto dell’albero della conoscenza, ha portato alla scoperta di nuovi processi, paleotecnici, questa volta, per trasformare le ricchezze della natura.

La scoperta del carbone come fonte di energia migliore, più abbondante e meno costosa del legno, la scoperta della trasformazione dei minerali in ferro, molto migliore del legno come materiale da costruzione, hanno segnato l’inizio della “rivoluzione” tecnico-scientifica che ha permesso di ottenere più merci utili e pulite per più persone --- un successo pagato, peraltro, con crescente produzione di scorie e rifiuti “sporchi”.

Dai primi dell’Ottocento è stata una crescente corsa verso la società dei consumi puliti e dei rifiuti sporchi. Il carbone forniva energia per i treni che solcavano i continenti, per le navi che solcavano gli oceani trasportando crescenti quantità di minerali, cibo, merci. Col carbone era possibile produrre concimi sintetici che assicuravano un aumento della produzione di cibo pulito per una crescente popolazione terrestre, anche se ci si è poi accorti che l’eccessivo uso dei concimi immetteva nell’ambiente sostanze nocive per altri esseri viventi.

Nella metà dell’Ottocento la scoperta delle grandi riserve di petrolio ha permesso di ottenere combustibili da trasformare in carburanti per veicoli capaci di muoversi da soli, auto-mobili, capaci di sollevarsi nel cielo, in grado di fornire le materie prime per “copiare” le sostanze offerte dalla natura con altre ancora “migliori”.

Al posto del legno le materie plastiche permettevano di ottenere mobili e edifici e imballaggi e merci molto migliori; i detersivi sintetici erano molto migliori di quelli ottenibili dal sapone nel rendere “puliti”, i tessuti e gli oggetti; i pesticidi sintetici erano molto migliori di quelli naturali.

Era possibile ottenere panni più puliti con detergenti sintetici molto “più perfetti” (perdonatemi) del vecchio sapone, ma estranei ai cicli naturali per cui i detersivi sintetici hanno mostrato di continuare il loro cammino, dalle lavatrici, ai depuratori, ai fiumi al mare, indistruttibili, non degradabili per via biologica, non trasformabili, col loro carico di schiume e di sostanze che alterano i cicli vitali della vita marina.

Il fastidio dei parassiti e degli indetti nocivi per la salute umana e per le piante e animali è stato sconfitto con la scoperta di molecole sintetiche capaci di uccidere le pesti, i pesticidi, appunto, sempre più efficaci a mano a mano che progredivano le conoscenze della chimica sintetica e della composizione dei prodotti naturali le cui molecole potevano essere perfezionate e modificate con la chimica. Fino a quando si è visto che tali pesticidi erano diventati un inquinante planetario sporcando e danneggiando il corpo di animali fino all’animale umano.

E quando un ulteriore energico morso del frutto dell’albero della conoscenza ha offerto la capacità di trasformare i nuclei atomici, fonte di energia per la morte e per i commerci, si avuta a disposizione energia elettrica pulita accompagnata inevitabilmente da scorie radioattive sporche, anzi fra le sostanze più sporche e persistenti e nocive per i tempi presenti e per quelli del lontano futuro.

La perfidia di questa rivoluzione sta nel fatto che gli esseri umani, tutti noi, percepiamo subito l’aspetto buono, pulito, delle innovazioni e solo con ritardo ci accorgiamo della sporcizia che le accompagnano. Citavo all’inizio il caso dell’ILVA di Taranto; fino al 1960 il cielo di Puglia è stato pulito e limpido (per modo di dire perché anche allora dalle strade e dai campi il vento sollevava polveri; si sentiva l’odore acre delle sanse di oliva) ma i pugliesi avevano un basso livello di vita: dal 1961 la nascita dell’acciaieria e poi delle altre industrie “sporche” ha portato occupazione, benessere; molti lavoratori con i salari portati dall’acciaio e dai suoi fumi hanno potuto mandare all’Università i figli, comprare la casa e l’automobile.

Contraddizioni e trappole in cui siamo caduti in tanti e lentamente. Il prof. Giuseppe Testoni, che ha insegnato Merceologia nella Facoltà di Economia dell’Università di Bari, tenne la prolusione all’anno accademico 1933-34 con una conferenza dal titolo: “Le merci sintetiche”. Quando, nel 1959, ho iniziato il mio corso di Merceologia nella stessa Facoltà, ho tenuto una prolusione con lo stesso titolo. Oggi inviterei un mio successore a tenere una prolusione a un corso di Merceologia con il titolo: “Le merci naturali”.

Non perché quelle naturali sono migliori come qualità e prezzo, ma perché, col senno di poi, a parità di utilità, di valore d’uso “pulito”, generano scorie “sporche” in minore quantità di quelle sintetiche. In un bel pasticcio ci hanno messo Eva e quel credulone di suo marito: a conti fatti valeva bene la pena di mangiare quel frutto proibito ?

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